Emirati Arabi Uniti

L’immagine sullo schermo del televisore era sgranata e si interrompeva continuamente a causa dei disturbi presenti nell’atmosfera mentre il segnale veniva rimandato a terra da un satellite. Si vedeva una donna in piedi davanti all’enorme terminal 4 dell’aeroporto di Heathrow, con un’espressione che era un misto di pietà e di adrenalinico entusiasmo. Quella era la situazione che ogni giornalista di professione sogna. Le porte dietro di lei erano affollate da tutti gli operatori dell’emergenza, e si intravedevano tute ignifughe, uniformi di polizia e membri delle forze speciali. L’incidente che li aveva attirati in quel punto si era verificato dall’altra parte dell’edificio, nell’ampio spazio in cui gli aerei erano rimasti ad aspettare che le squadre di artificieri dessero il via libera. L’audio della BBC era molto più chiaro delle immagini che giungevano nell’Hawker Siddeley di Hasaan bin-Rufti, che si trovava a quindici minuti dall’atterraggio a Dubai, l’aeroporto internazionale più vicino all’Emirato di Ajman.

Rufti era seduto nella cabina principale, con la sua mole accasciata e traboccante sul lussuoso sedile e sui braccioli. Aveva le dita e la bocca unti dal burro che gocciolava dall’aragosta che stava divorando. Aveva appena finito di succhiare la carne rosea dalle chele di due enormi crostacei importati dal Maine, quando il reportage aveva interrotto il telegiornale che stava guardando. Il tovagliolo che aveva sul petto era grande come una tovaglia ed era chiazzato da stomachevoli macchie giallastre.

Senza interrompere il suo spuntino pomeridiano, continuò ad ascoltare visibilmente soddisfatto.

“In diretta da Heathrow, vi parla Michaela Cooper. La minaccia terroristica si è intensificata con sviluppi raccapriccianti. Venti minuti fa, mentre l’aeroporto era ancora in stato di massimo allarme in seguito all’esplosione di una bomba nell’atrio principale, un camion di rifornimento del carburante con alla guida un commando terrorista suicida, è andato contro un Boeing 767 della British Airways fermo a terra.

“Voci non confermate riferiscono che nell’impatto il velivolo è stato completamente distrutto. Una fonte riferisce che i corpi del vero equipaggio del camion sono stati trovati in un hangar di servizio poco dopo l’esplosione, con la gola tagliata, ma la notizia non è ancora stata confermata.” La giornalista diede un’occhiata al foglio di appunti che teneva in mano, con la fluente chioma bionda che le scendeva lungo le spalle. Quando alzò lo sguardo i capelli rimasero morbidamente adagiati sui suoi seni al silicone. “L’aereo doveva partire diverse ore fa per Riyadh, in Arabia Saudita, ma era stato bloccato sulla pista per la minaccia terroristica, che pare sia opera di un gruppo chiamato Kurdistan Unito. Sono gli stessi terroristi che hanno rivendicato l’attacco di ieri sera al Bristish Museum.”

“Alla fine quegli idioti ci sono riusciti” disse Rufti ad alta voce, con i frammenti di aragosta che gli cadevano dalla bocca carnosa.

L’esplosione della bomba piazzata da Tariq nell’atrio del terminal e un paio di telefonate fatte al momento giusto al direttore dell’aeroporto avevano lasciato ai curdi il tempo per organizzare un attentato vero e proprio all’aereo su cui si trovava Khalid Khuddari. Mentre lui si organizzava per tornare negli emirati e parlare con il principe, Rufti era riuscito a improvvisare un piano strategico che aveva funzionato alla perfezione, senza esporsi. Aveva fatto lui stesso le telefonate all’aeroporto di Heathrow, dopo che il suo pilota gli aveva assicurato che il sistema di comunicazioni a bordo dell’Hawker rendeva impossibile l’individuazione dell’origine delle chiamate.

Rufti aveva speso milioni di dollari per ingaggiare, formare e armare i nazionalisti curdi che dovevano attaccare Khuddari al Bristish Museum. L’operazione era stata pianificata nei minimi dettagli in modo che niente andasse storto. Ma naturalmente non era andata così. Ed era toccato a lui rimediare con un piano organizzato su due piedi, per eliminare il suo acerrimo nemico. Senza nessuna pianificazione e in pochissimo tempo i curdi erano riusciti a usare la finestra aperta dalla granata di Tariq e a introdursi in aeroporto, sopraffare gli addetti al camion di carburante e a lanciare quest’ultimo contro il Boeing.

“Da non credere” borbottò, scuotendo incredulo la testa e i rotoli di lardo che aveva sul collo.

L’attentato al museo era stato una passeggiata, ma organizzare un assalto a un aeroporto già in stato di massima allerta era l’operazione più difficile che un capo terrorista potesse compiere. Come avessero fatto i curdi a fallire nel primo e a riuscire nel secondo era un vero mistero. “Davvero incredibile…”

La telecamera si spostò e fece un campo lungo sul pandemonio che si era scatenato sulle piste. Dopo l’esplosione le autorità avevano evacuato immediatamente tutti gli altri aerei. Erano tutti in fila sull’asfalto, con gli scivoli gialli gonfiabili in corrispondenza delle uscite. I passeggeri erano stati portati via in autobus e temporaneamente sistemati in un capannone, con tre mezzi da ricognizione Fox piazzati davanti alle porte chiuse con i cannoni Rarden da 30 mm puntati. I resti del Boeing 767 erano un mucchio di rottami fumanti, rogo sacrificale di centosessantacinque persone, tra passeggeri e membri dell’equipaggio. La telecamere li inquadrò più da vicino, mostrando i camion dei pompieri che irroravano di schiuma bianca le lamiere accartocciate, mentre gli operatori vestiti con le tute ignifughe argentate cercavano di avvicinarsi il più possibile.

Michaela Cooper continuava il suo resoconto con un tono di voce addolorato, ma Rufti non stava più ascoltando. Khalid Khuddari era su quell’aereo, e ora era morto. Rufti aveva rispettato gli accordi presi con gli iraniani e gli iracheni. Adesso toccava a Kerikov, che doveva distruggere l’Alaska Pipeline e affondare la petroliera fuori dalle coste occidentali americane, ed entro pochi giorni le carte geografiche del Medio Oriente sarebbero state ridisegnate da zero. La famiglia Saud sarebbe morta, la loro immensa nazione sarebbe diventata un territorio retto dall’Iran e dall’Iraq, il Kuwait sarebbe stato inglobato nel territorio del paese con cui confinava a nord e lui, Hasaan bin-Rufti, sarebbe stato il nuovo e indiscusso capo del governo di tutti gli Emirati.

Rufti era stordito dall’euforia. Si era svincolato dalla morsa della sconfitta e aveva segnato una vittoria straordinaria, dimostrando ai suoi compari di che stoffa era fatto. Le trattative con i ministri dell’Iran e dell’Iraq, durate molti mesi e concluse solo pochi giorni prima a Londra, erano state imperniate sulle azioni che lui e Kerikov dovevano compiere. Ora Rufti poteva rilassarsi e aspettare comodamente che Kerikov facesse la sua parte. Dopodiché gli eserciti riuniti dei paesi più bellicosi del Medio Oriente si sarebbero spostati verso sud mentre gli Stati Uniti e l’Europa stavano a guardare impotenti mentre veniva loro sottratto il prezioso oro nero.

Doveva ammettere che Kerikov era stato un genio a ideare quell’operazione così audace, ma poi si ricordò che l’operazione ‘Fiume Nero di Caronte’ era stata progettata dai Sovietici, in conseguenza della loro paranoia per la Guerra Fredda. Il coinvolgimento delle altre nazioni era stata un’idea di Rufti. A Kerikov interessava solamente mettere in ginocchio la produzione interna di petrolio degli Stati Uniti, aumentando la loro dipendenza dagli stati del Golfo e, di conseguenza, l’interesse di Rufti nel finanziare parte dell’operazione. Ma Rufti aveva intravisto opportunità di ben più ampio respiro. Con l’America assetata di petrolio, il mondo islamico si sarebbe finalmente liberato dell’influenza occidentale, gli Stati Uniti sarebbero stati cacciati dall’Arabia e Israele sarebbe stata più vulnerabile. L’impero arabo avrebbe riconquistato il suo splendore e il potere indiscusso di un tempo.

“Ministro Rufti” la voce del pilota interruppe le sue fantasticherie, “siamo in avvicinamento.”

Guardò l’orologio montato sulla parete anteriore della cabina. Ancora qualche ora e sarebbe stato tutto finito.